Un recente articolo pubblicato sul quotidiano torinese La Stampa nella giornata di lunedì 7 agosto u.s. attribuisce ai dentisti l’aumento delle spese che gli italiani devono sostenere per la cura della propria bocca. L’autore dell’articolo, Paolo Russo, scrive che, quello che egli definisce “caro poltrona”, si attesti all’interno di una una forbice compresa tra il 30 e il 40%.
ANDI non condivide questa interpretazione e, pertanto, ha provveduto ad inviare all’autore dell’articolo una lettera a firma del Presidente nazionale, Carlo Ghirlanda, che esprime il dissenso dell’Associazione, con il testo a seguire.
ANDI – Associazione Nazionale Dentisti Italiani- monitora costantemente l’andamento del settore, confrontando i propri dati, provenienti da una platea di oltre 28.000 dentisti associati, con quelli emessi da ISTAT. Dall’ultima Analisi Congiunturale sulla professione odontoiatrica, presentata dal Centro Studi ANDI a maggio 2023, si evincono alcuni dati che contrastano con quanto scritto nel suo articolo in questione.
L’aspetto più significativo è quanto risulta relativamente al comportamento dei professionisti che, nonostante gli aumenti dei prezzi alla produzione e alla importazione e l’aggravio sensibile dei costi energetici, hanno mantenuto un comportamento estremamente responsabile, dove soltanto un quinto degli Odontoiatri ha ritoccato verso l’alto i propri listini, ma con un aumento medio generale quantificabile all’1,8%, dopo che l’anno precedente tale aumento era rimasto allo 0,5%.
In dettaglio, rispetto al 33,9% di dentisti che nel 2021 aveva ipotizzato di alzare i listini, solo il 20% lo ha poi effettivamente fatto.
In pratica, la maggior parte degli aumenti effettivi dei costi sono stati assorbiti dai professionisti e solo in percentuale minima ribaltati sui pazienti, con la consapevolezza di quanto la spesa odontoiatrica sia gravosa per le famiglie, essendo quasi completamente a carico dei cittadini.
L’aspetto più complesso nell’analisi di questi dati è la loro certificazione. Infatti, i numeri che ISTAT fornisce sono mediamente riferiti al biennio precedente e l’incrocio con altri dati, raccolti secondo parametri differenti, possono portare a valutazioni poco attendibili, determinando le anomale conclusioni alle quali Lei perviene nel suo articolo.
Infine un ultimo aspetto sul quale Le segnaliamo di porsi parecchi dubbi è l’effetto di “raffreddamento” che avrebbero avuto le cosiddette “catene” sui prezzi delle cure.
In Italia, la percentuale di prestazioni sostenute dall’odontoiatria commerciale si attesta intorno al 10% e, conseguentemente, il 90% delle cure dentali sono svolte dagli studi “tradizionali”, in forma mono professionale o associata. Da questi numeri si evince facilmente come l’incidenza delle catene come calmiere sui prezzi non possa che essere marginale, se non irrisoria.
ANDI si rende disponibile ad un confronto sui dati da Lei utilizzati con quelli elaborati costantemente dal proprio Centro Studi, al fine di consentire la massima trasparenza e la migliore attinenza con le effettive situazioni e con le diverse caratteristiche territoriali che contraddistinguono la categoria odontoiatrica.
L’articolo ANDI replica alle accuse fatte ai dentisti sul costo delle cure proviene da ANDI.